La Divina Commedia IN-VITA: il manoscritto originale

a cura di Avv. Antonello Iasevoli
Cari Amici, continuiamo il nostro racconto all’interno della storia della Divina Commedia ed occupiamoci, questa settimana, del manoscritto autografo di Dante… esiste ancora?
Purtroppo, tutto il materiale cartaceo (appunti, note, stralci, bozze e stesura definitiva di ogni singolo canto) è andato perduto; allo stato, esistono solo un centinaio di copie, i così detti “testimoni”, che i diversi amanuensi e letterati del 1300 si fecero faticosamente carico di ricopiare. Tre di questi “testimoni” sono scritti di pugno da Giovanni Boccaccio.
La “Commedìa” riscosse da subito un inaspettato successo, di tal che si rese necessario riprodurre copiando a mano da un testo precedentemente già, a sua volta, ricopiato quante più copie possibili.
Ma questa delicata e certosina operazione in che misura ha inciso sulla lingua originale utilizzata da Dante? Siamo sicuri che il Poema che leggiamo e studiamo, oggi, a scuola sia formato esattamente dalle espressioni e dai vocaboli scelti, settecento anni fa, dall’Alighieri? Detta questione prende il nome di “contaminazione linguistica”; sovente, infatti, i copisti attingevano da codici provenienti da aree geografiche lontane da Firenze; onde, poteva capitare che qualche vocabolo o espressione linguistica fosse completamente diversa dal volgare fiorentino; ancora, poteva accadere che i copisti, volontariamente o involontariamente (per distrazione o ignoranza), modificassero una o più parole, attribuendo, in tal modo, un significato diverso a quella intera terzina. Gli studiosi, così, hanno da sempre cercato di risalire alla copia più prossima all’originale di Dante, indirizzando la loro ricerca verso codici scritti da copisti quanto più vicini all’autore, sia per area linguistica che per momento storico (Firenze e dintorni viciniori e poco dopo il 1321).
Il testo più attendibile, alla luce di questa delicata ricostruzione filologica, sembrerebbe essere il Codice Trivulziano 1080, risalente al 1337 ed opera di Francesco ser Nardo di Barberino di Val d’Elsa, che fondò, proprio a Firenze, una bottega specializzata nella trascrizione della Divina Commedia. Esso è conservato presso la Biblioteca Trivulziana in Milano.
La traduzione (la parafrasi) più fedele al testo originale è, per gli studiosi moderni, quella corrispondente alla “Commedia secondo l’antica vulgata”, opera del filologo e critico letterario Giorgio Petrocchi che, nel 1966-67, ne curò la prima edizione; essa, difatti, si fonda sulla tradizione scritta dei “testimoni” più antichi e di stretta cerchia fiorentina, dei quali fanno parte, oltre al Codice Trivulziano 1080, anche altri 26 manoscritti, tutti anteriori al 1355.
La prossima settimana incominceremo a delineare la struttura architettonica e metaforica dell’Inferno.
Non mancate!