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La Divina Commedia IN-VITA: Ulisse, consigliere fraudolento (parte 2)

a cura di Avv. Antonello Iasevoli

Cari Amici, ci troviamo, ancora, nell’VIII Bolgia, all’interno dell’VIII Cerchio, tra i consiglieri fraudolenti.  Riprendiamo ad analizzare, insieme, la figura di Ulisse, una delle più controverse ed enigmatiche della Divina Commedia, in relazione, soprattutto, alla domanda che spontanea sovviene alla mente di ogni lettore: ma perché Ulisse viene collocato all’Inferno? Prima di argomentare una possibile risposta, tuttavia, è necessario comprendere chi sia Ulisse per Dante.

Ulisse rappresenta la metafora del “DESIDERIO” [in latino de-sidera → verso le stelle]; il desiderio dell’uomo di conoscere il vero, di scoprire le cose nuove, di poterle apprendere ed abbracciare, secondo la loro vera natura. Egli sintetizza la grandezza del cuore dell’uomo, del suo destino, della sua inesauribile sete di conoscenza e di infinito.

Ulisse ha “ardor a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore”; egli rappresenta l’uomo con il suo ontologico desiderio di fare esperienza della realtà; di comprendere la vita e le sue dinamiche; di apprendere il mistero dell’Essere; di abbracciare le infinite possibilità della Vita.

Alla luce di questo incontenibile desiderio, Ulisse pone in essere una scelta decisiva: sacrifica la famiglia, gli affetti più cari, l’amore per il piccolo figlio, per il vecchio padre, per l’amata moglie… pur di salpare alla scoperta del “mondo sanza gente”. A tal proposito, sobbalza alla mente il Vangelo di Matteo 10,37: “Chi non odia suo padre e sua madre non è degno di Me”. Dice Gesù, chi non è disposto a       lasciare gli affetti più cari, la certezza della famiglia, il calore della casa, le ragioni della propria esistenza fino ad allora vissuta, per ri-scoprire la vera Vita, la vera Famiglia, la vera Casa, la vera Esistenza… non è degno di Me; cioè non è degno della totalità della vera Vita.

Ulisse ha avuto il coraggio di DE-SIDERARE; ha avuto il coraggio di abbandonare le proprie certezze, per mettersi alla ricerca del proprio “Io”…”ma misi me per l’alto mare aperto”. In nome di tale “desiderio” egli rinuncia, nel senso evangelico del termine, agli affetti più cari.

Ulisse è l’uomo di pensiero, che mette in gioco se stesso per      seguire la virtù e la conoscenza; egli non si accontenta mai di quello che conosce, di ciò che vede e di ciò che sperimenta nel suo quotidiano; egli vuole conoscere l’inconoscibile, vuole scoprire tutto ciò che per il cuore dell’uomo medievale costituiva ancora un tabù, un limite da non oltrepassare.

Questa innata determinazione di Ulisse segna il discrimine tra l’uomo del Medioevo e quello della nascente era moderna, caratterizzata non esclusivamente dalla sapienza, ma, soprattutto, dalla ricerca empirica delle cose. Ulisse ne è consapevole; egli agisce con scienza e coscienza, a tal punto da appellare la sua scelta come un “folle volo”.

Ma il “folle volo”… fallisce.

Ulisse morirà, e con lui tutti i suoi compagni.

Come Icaro, anche egli ha tentato il volo con mezzi inadeguati. Come ad Icaro, il sole - sua destinazione finale - sciolse le ali di cera, facendolo precipitare al suolo, così ad Ulisse, la montagna del Purgatorio - sua ultima meta - generò un turbine, facendolo inabissare nel profondo del mare, con tutta la sua nave.  

Alla settimana prossima… cercheremo di comprendere il vero peccato commesso da Re di Itaca.

 

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