La Divina Commedia IN-VITA: Ulisse, consigliere fraudolento (parte 3)

a cura di Avv. Antonello Iasevoli
Cari Amici, ci troviamo, ancora, nell’VIII Bolgia, all’interno dell’VIII Cerchio, tra i consiglieri fraudolenti. Continuiamo ad analizzare, insieme, la figura di Ulisse, cercando di comprendere il vero peccato commesso dall’eroe omerico, in forza della quale egli viene destinato all’Inferno…
Possibile che un uomo di così grande ingegno, che fa del desiderio (dono di Dio ricevuto a mezzo del libero arbitrio) il suo valore cardine, che assurge ad emblema di libertà intellettuale, che segna il passaggio metaforico tra l’uomo medievale e l’uomo pensante dell’era moderna, che incarna la promessa di bene infinito datoci dal Mistero di Dio, che impersonifica l’UOMO per antonomasia… possa essere condannato all’Inferno?
I consigli fraudolenti di cui egli si è macchiato sono, senza alcun dubbio, peccati di poco momento in relazione alla eccellenza del proprio ingegno. Non possono essere sufficienti a giustificare una tale condanna; del resto, lo stesso Dante destina al Purgatorio alcune anime che, addirittura, non avevano avuto la gioia di conoscere il Dio di Gesù Cristo: pensiamo a Catone (95-46 a. C.), custode del Purgatorio, morto addirittura suicida, o al poeta, sempre latino, Stazio (45-96 d.C.).
Troppo irrilevante, quindi, la colpa della frode rispetto alla epicità, alla grandezza ed alla magnanimità con le quali Ulisse viene tratteggiato da Dante; ergo, sicuramente, non può essere questa la vera motivazione.
Altrettanto irrilevante è l’aver desiderato troppo; Ulisse, lo abbiamo detto, è l’uomo del desiderio, del cambiamento, della ricerca, della scoperta, del dinamismo intellettuale. Ma il desiderio di Infinito è, proprio, il cardine di tutta la Divina Commedia; è il fine ultimo di Dante stesso; è il motivo conduttore di tutto il racconto odeporico. Quindi, anche codesta seconda ipotesi non può trovare accoglimento alcuno.
Dunque, ritornando alla domanda iniziale, qual’è la vera ragione per cui Ulisse è all’Inferno?
La mancanza di UMILTA’!
Ulisse non possiede l’umiltà di riconoscere che il suo desiderio di scoprire il mondo deve necessariamente sottostare alla volontà del Mistero Divino.
Egli ha la protervia, la tracotanza, la superbia, la presunzione, forse l’ingenuità, di farcela da solo, di bastare a se stesso, senza chiedere aiuto, affidarsi, fidarsi ed, umilmente, abbandonarsi alla Divinità, chiunque essa sia. Ulisse ha i tratti della hybris [traslitterazione del gr. ὕβρις, che significa genericamente «insolenza, tracotanza»]; e, per l’effetto, si ribella alla volontà divina; ha la pretesa di conoscere e voler conoscere le cose ultime solo grazie alla ragione, senza l’aiuto della fede.
Il vero peccato di Ulisse è la totale mancanza di umiltà, l’orgoglio, il suo egoarchico solipsismo, la presunzione di potersi salvare da solo; egli non è cosciente di essere stato creato da un Altro; di aver ricevuto la vita da un Altro; di dipendere da un Altro; di dover, un giorno, ritornare ad un Altro.
E’ lo stesso Ulisse che lo afferma, quando usa l’egocentrica espressione: “ma misi me per l'alto mare aperto”.
La prossima settimana esamineremo Ulisse come maestro di speranza e di resilienza.
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