La Divina Commedia IN-VITA: Paolo e Francesca

a cura di Avv. Antonello Iasevoli
Cari Amici, il viaggio continua ed incontriamo i primi dannati all’Inferno…
Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, erano, rispettivamente, il fratello e la moglie di Giovanni o Gianciotto Malatesta - detto lo sciancato, per una malformazione che lo portava a zoppicare -, condottiero ed uomo politico. I due cognati vengono condannati da Dante tra i lussuriosi e posti nel secondo cerchio dell’Inferno, di cui è cenno nel V canto. Il loro è un amore segreto, romantico, fatto di languidi sguardi e furtivi baci, che all’improvviso, però, si tramuta in peccaminosa scelta fedifraga. La vicenda storica si svolge quando Dante aveva circa 20 anni. L’omicida nel 1300, probabilmente, era ancora vivo, pur tuttavia, Dante lo colloca già nella Caina, ove sono severamente puniti i traditori dei consanguinei, come farà dire alla stessa Francesca.
La storia, svoltasi tra il 1283 ed il 1286, vede protagonisti i due cognati, i quali, percepito il reciproco sentimento amoroso, sono intenti a leggere un romanzo francese medievale, narrante la storia d’amore clandestina tra Lancillotto del Lago e Ginevra, moglie di Re Artù. Ebbene, nel momento in cui i due leggono del bacio che travolse i protagonisti, sono anch’essi presi da siffatta passione, di tal che Paolo… “la baciò tutto tremante”. Sorpresa in flagrante adulterio, entrambi vengono, immediatamente, uccisi da Gianciotto.
Dante descrive questo amore in terzine stupende, piene di sentimento e di struggenti parole, che, a distanza di sette secoli, ancora, vengono recitate e declamate dagli innamorati. L’amore di Paolo e Francesca, la loro tormentata storia e la loro tragica fine, rappresentano, per il Poeta, le vicissitudini impreviste ed imprevedibili, che tutti gli uomini possono vivere; egli non vuole mettere in cattiva luce Francesca, non vuole lasciare di lei un peccaminoso ricordo ai posteri, anzi, al contrario, è determinato nel dimostrare che la forza improvvisa e devastante dell’amore può travolgere chicchessia, non solamente uomini e donne del passato, ma, anche, gente comune, animi nobili e raffinati, contemporanei del suo stesso secolo; egli comprende che la felicità può tramutarsi, all’improvviso, in tragedia, in scelte sbagliate, in peccato mortale, e che nessun uomo, “che sommette la ragione al talento”, può sottrarsi a detto errore.
Dante stesso, difatti, secondo una ricostruzione fatta ad opera di Boccaccio, si sarebbe, intorno al 1307 durante il suo soggiorno in Casentino, improvvisamente, innamorato di una donna, detta “montanina”. La condizione di Paolo e Francesca, orbene, venne vissuta in prima persona da Dante, il quale sulla sua pelle provò i brividi di un amore passionale ed irrazionale nonché la frustrante condizione psicologica di chi “sommette la ragione al talento”. Francesca, dunque, si appalesa essere un “clone” del Poeta, il suo “animo vagante”. Rivalutare Francesca voleva significare rivalutare se stesso e rivalutare, di conseguenza, le sue scelte irrazionali. Perdonare Francesca voleva dire perdonare se stesso, ricominciando un cammino di pentimento e di conversione, proprio nel 1300, anno santo del primo giubileo. Egli, dunque, prende parte attiva tra i peccatori, si unisce a loro, vive i loro disagi e le loro impurità; scrive una sorta di autobiografia, scendendo di persona negli inferi. Francesca è il suo alter ego nel peccato. La redenzione di Francesca è la redenzione di Dante; la riabilitazione di Francesca nel mondo terreno è la riabilitazione del Sommo Poeta… e, con lui, dell’umanità intera.
Alla settimana prossima. Non mancate!